Venanzo Crocetti: dall’armonia della Bellezza alle forme della materia - I. Tra scultura dal vero e scultura elegiaca
 - L’enigma della bellezza della scultura è sentito da Venanzo Crocetti, nei settant’anni da lui trascorsi di fronte al Kosmos, con l’ossessione della réalisation, che non va avvertita semplicemente come la realizzazione dell’opera, quanto piuttosto come l’urgenza di rendere reale nella forma ciò che ci si dà in modo frammentario, confuso, evanescente, da non poter essere considerato davvero come “il reale”. La réalisation è l’esperienza del mero oggetto che si spinge sino alla verità della cosa. L’artista, ha detto Rilke, deve spingersi all’estremo. Ma una volta che siamo giunti a questo confine, che cosa troviamo se non la grandiosa ansietà dell’inconciliabile tra forma e materia?
Venanzo Crocetti, Fanciulla che si pettina.
- Per Crocetti la scultura è intesa come se l’immagine sussista già nella materia dalla quale egli la ricava. Essa non deve essere tradotta nel metallo o nella pietra, ma sin dalla sua concezione è quel bronzo, quel marmo. La conformazione della forma, che si effettua e si organizza sull’informe, è però pronta a dimettere alcune parti in favore d’altre che ne avrebbero accentuata la tridimensionalità. Ma tale conformazione, per quanto possa essere accidentale, non è più indipendente né preesistente rispetto all’immagine che contiene, così come appare concordato il frammento impuro, rinserrata la silhouette potenziale, a somiglianza del ventre materno che cresce e si adatta sul bambino.
- Lasciando vedere — ad esempio nei lavori bronzei Giovane donna del ‘30 e Donna al fiume del ‘35 — le escrescenze e bave del bronzo, Crocetti sente chiaramente che esse non possono assumere il valore pratico e accessorio che si riscontra nei tratti che altri scultori della sua generazione (in primis Greco e Manzù) lasciano fra le dita o fra le altre membra aggettanti e fragili, perché non si frangono. Qui la liberazione dell’arto sarebbe il processo meccanico di un’esecuzione portata fino in fondo, e allora l’orma antropomorfa sopporta il residuo ma idealmente l’espunge. Invece le parti escrescenti delle sculture crocettiane, che sono quanto mai solidali e pertinenti all’immagine, non serve eliminarle mentalmente ed è anzi impossibile eliminarle se non sostituendo d’arbitrio una Koiné fantastica, che non è più quella del maestro abruzzese.
- Questo avviene perché la singolare organizzazione tattile dell’immagine vince e assimila quei residui non rimossi, ancora più che se fossero stati asportati. Li vince come (ed è specchio appena analogico), la conformazione naturale di una vallata si impone e continua sotto gli ultimi stralci di nebbia non ancora dissolti: li assimila, come le radici di una pianta imbrogliano e alterano in una stretta presa il pane della terra. La forma velata e inframezzata delle due opere giovanili oltrepassa il parmenideo logos apatelós della poesia della materia, ma non come avverrebbe se la figura, già eseguita, fosse stata presa in una metamorfosi organica, o in parte adulterata e ricoperta da una patina corrosiva.
- Nelle sezioni quasi grezze e appena sfiorate di un capolavoro come Figura inginocchiata o come San Sebastiano, entrambi del 1950, par di sorprendere il risveglio del bronzo spinto a plasmare dal pensiero di Crocetti, il quale comprende l’essenza una, metafisica ed estetica, del fenomeno poetico, quando gli attribuisce come fattore fondamentale il motivo dell’apáte, accettandone in tal modo l’irrazionalità con la necessità d’imporla e rispettivamente di accoglierla. Così facendo, riconosce quella molteplicità contràddittoria del reale che, di volta in volta, solleva a validità il momento voluto dal Kairós, sciogliendosi — al pari di Anfione che costruisce con la musica le mura di Tebe — dai lacci geologici per formularsi in spirito.
- La dissociazione tra scultura dal vero e scultura elegiaca o espressiva resta in Crocetti costantemente, a quel che possiamo indurre dalla datazione delle prime prove sino a quelle della piena maturità. Il che significa che nella sua personalità non si pone il problema di risolvere quel distacco o quella discrepanza eguagliando i piani differenti e ponendo in cosciente reciproca implicazione le forme scultoree che pratica. Due vie poetiche si aprono a questo punto: la discesa verso la descrizione minuta (Vitellino del ‘31), la riduzione della storia mitologica all’anedotto (Sibilla del ‘39), oppure la salita verso l’identificazione di emozione visiva e concetto (Le lavandaie del ‘37), attraverso l’allegoria.
- In Fantasia come ti pare del ‘38 (anno in cui Crocetti consegue il Gran Premio per la scultura alla Biennale di Venezia) e in Balletto antico di due anni dopo, l’antitesi si fa serrata, dilemmatica, sfuggente: storia senza protagonisti, spazio senza oggetti nella prima opera; protagonisti senza storia, oggetti senza spazio nella seconda. O meglio: due concezioni antagoniste e nuove della storia, dello spazio, delle cose, in una parola, dell’esistenza. Senonché, se una meditazione non vi fosse stata, nella produzione crocettiana, non ci troveremmo di fronte, come invece avviene, a una molteplicità spesso consistente di archetipi stilistici, tra i quali quelli di carattere anzitutto vitalistico e sensibile, e variamente “narrativo”, pratico mnemonico, emotivo e documentario.
- Davanti a Bagnante del ‘42 si ha così l’impressione di poter giustificare la presenza di due e magari di più anime, per le fasi che non hanno trovato non diremmo sintesi o dialettica unità, ma nemmeno connessione. Si badi bene: nei lavori dal vero del tipo di Ritratto di uomo del ‘33 e Tacchino del ‘37 non si verifica quel che è più comune a riscontrare negli artisti: è cioè che lo stile, le forme personali della scultura si proiettano sulle immagini offerte dal vero, dalla natura esterna, e le modificano stilizzandole, ovvero, per meglio dire, le assumono, se ne appropriano unificandole nell’Einfall, e ne fanno infine inedite strutture figurative di un mondo artistico originale e unico.
- Casi di questo genere — e sarebbe da meravigliarsi del contrario — sono rilevabili anche nella produzione grafica di Crocetti: tra i disegni e gli schizzi sicuramente eseguiti da un modello presente e rientranti nell’ambito del linguaggio disegnativo stilistico, cioè appunto tali da mostrare d’essere stati concretati nel corso di un movimento dominato dall’ispirazione artistica, che può anche scomporre questa confluenza e spingersi altrove, verso terre ancora inesplorate, negli interstizi delle cose, fra l’ombra che le immagini proiettano o incorporano in sé.
- Ma altrettanto si fanno sentire le peculiarità degli altri fogli disegnati dal vero, senza stile e senza elegéia, ma non per questo poeticamente meno validi.
- Non diversamente, sulla traccia di Arturo Martini che non fu — scrisse Crocetti — “mai ignaro della storia e della natura”, la scultura crocettiana cerca la naturalezza nel rendere nel bronzo o nel marmo la morbidezza dei capelli, il colore delle carni, la lucentezza dei tessuti; si dilata ai limiti estremi dell’area fenomenica fino a quel momento ristretta a pochi tipi “classici”, arriva nelle sculture al movimento incessante di una Lotta dei cavalli (un piccolo bronzo del ‘40), coglie la veste scossa dal vento (L’incendio del ‘45), la scrinatura di una pecora ribelle (La tosatura del ‘48). Ma, sempre, ciò che si cerca non è la similitudine della cosa scolpita con la cosa naturale, bensì la naturalezza dell’immagine. Potrebbe dirsi, persino, che l’arte si richiama alla natura solo per dimostrare, con una metafora letteraria, la naturalità delle proprie immagini.
- Nei bronzi Donna al fiume del ‘62 e Cavallo e cavaliere del ‘67 è immediato verificare schematizzazioni geometriche o geometrizzanti (le stesse Abstraktheiten cui allude Zeitler nel Canova di Amore e Psiche). Si tratta, però, di casi assai limitati, ancorché vistosi: e d’accordo con Venturoli non ne vorremmo dilatare il significato, perché un tal genere di riduzione era entrato ormai nella pratica della scultura del ‘900, da Martini a Marini e a Mastroianni, sia pure come verifica di valori proporzionali e pur avendo lontane origini assai più significative nella quadratio. La schematizzazione cubica, ovoide, sferica, sferoidale, volumetrico-poliedrica, è di tradizione, e i precedenti storici più immediati si possono indicare in Donatello e in Leonardo, dove essa, come la prospettiva, si trova legata ai canoni proporzionali antichi rievocati principalmente da Vitruvio.
- L’osservazione apre l’esigenza di uno studio anche ermeneutico sulle molte sculture anatomiche di Crocetti (tra tutte ricordiamo Pastorello del ‘34, Maestra di danza del ‘46 e Torso del ‘51) e del loro rapporto con la trattistica del bello formale. Si può riscontrare che esiste un passaggio necessario tra queste “astrazioni” metricovolumetriche e l’attività grafica di ugual tema o dello stesso ciclo. E allora: schematizzazioni sono una mediazione indispensabile nella costruzione dell’immagine, ne restano un sostrato significativo criticamente? Varrà la pena di verificarlo nei bassorilievi che sono dei veri e propri “saggi luministici”. Ma intanto le distinzioni e le precisazioni ci rivelano il paradosso di un uomo tutta dolcezza e ribellione che cela dentro sé uno scultore raffinato e colto che “si muove nella storia artistica senza alcun scolasticismo o spirito di culto”; un sublime musicista che va “alla ricerca puntuale delle sigle metriche, cadenza per cadenza, desinenza per desinenza, dai momenti più melodici a quelli più contrastati e drammatici”; un pensatore metafisico capace di costruire una delle ultime cattedrali d’Occidente.
- Floriano De Santi
- Direttore artistico Critico e storico dell'arte
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