Raffaello Pagliaccetti: le epifanie della luce - L'apprendistato artistico
 - Alla stregua di tanti altri artisti italiani, o meglio anche stranieri, Raffaello Pagliaccetti ha avuto il suo apprendistato di scultore nei grandi centri dell'arte nazionale. Ancora ragazzo, tra il 1856 e il '57 (come si sa nasce a Giulianova nel 1839), lascia la città natale per accedere all'Accademia di San Luca, a Roma. Del 1861 è invece il passaggio a Firenze, capoluogo nel quale si era recato per visitare l'Esposizione Nazionale. Le prime affermazioni del Pagliaccetti risalgono a un periodo posteriore al 1865; ma il suo apprentissage artistico - come si è già detto - ha comunque inizio prima, innanzitutto a Giulianova stessa. Giuseppe Parroni racconta nella sua monografia del 1927 i primissimi passi di Pagliaccetti.
- Raffaello pagliaccetti, busto di bambina, 1874. Gesso, cm. 45x35x25.
- “Nella modesta botteguccia, a cui il padre accudiva con cura assidua e onesta per sostenere la famiglia numerosa, crebbe il fanciullo, e nelle lunghe e noiose ore trascorse là dentro cominciò a dar forma alle immagini, che si presentavano alla sua mente con una serie ininterrotta di tentativi incerti e rudi, ma tali da lasciar facilmente scorgere a un occhio esperto che non si trattava della semplice mania di scarabocchiare, come a tutti i ragazzi. Né mancarono brave persone, che si credettero in dovere di avvertire il buon Andrea di queste speciali disposizioni del figliuolo; ma egli, cui l'idea di farne un artista non sorrideva, rispose che era bene darsi al commercio per avere un pane, e di altro non si curò. In ogni modo il fanciullo, senza abbandonare la bottega, continuava a eseguire bambocci, prendendo a modelli le bizzarre figure stampate sui fazzoletti, che allora formavano la delizia delle nostre contadine. Ed erano balli campestri in cui erano frammisti i più accesi colori, angolosi cavalli lanciati al galoppo, case di un'architettura di là da venire, barche, che veleggiavano un mare di vetriolo, fiori di una flora impossibile, tutto un mondo rozzo e artificiale, in cui egli s’immergeva, spinto dalla smania di vederlo riprodotto di sua mano. Raccontano che un giorno gli capitò di vedere disegnata su uno di quei fazzoletti la pianta della città di Sebastopoli, ed egli, attratto dal lavoro nuovo, vi pose una cura così minuta, ed una sì fervida attenzione che potè riprodurla con la più scrupolosa esattezza.
- Quel saggio fu uno sprazzo di luce per tutti e sopra tutto per un altro geniale artista suo concittadino, Flaviano Bucci, pittore di belle speranze costretto dalle domestiche sventure ad abbandonare l'arte. Egli volle subito con sé il piccolo Raffaello, al quale insieme con la sua signora, Laura, pittrice valente anch'essa, cominciò a dare le prime nozioni regolari di disegno. I progressi furono rapidi e sicuri, poiché l'energica tempra del giovanotto e il pronto ingegno, congiunto alla fervida passione gli facevano superare ogni sorta di ostacoli, e in breve si dovette pensare a procurargli un luogo migliore nel quale egli potesse svolgere e affinare la sua calda attività artistica”.
- La narrazione è, come si suole in genere dire, in sé emblematica. Il talento in boccio del giovane Raffaello matura naturalmente e quasi incontrastato; forse anche incontrollatamente, onde la necessità di un'educazione più ordinata e mirata. Le lezioni basilari del disegno gli vengono impartite dal pittore giuliese Flaviano Bucci oltreché dalla lui consorte Laura, che dal marito fu ritratta in una delle sue opere più ricordate. Bucci, nato a Giulianova nel 1817 e ivi spentosi nel 1906, era stato allievo del pittore teramano Giuseppe Bonolis, ma aveva compiuti i propri studi a Napoli. Da ciò si guadagnò una non del tutto effimera fama come artista napoletano - tanto da venir considerato nel novero dei più versati coloristi d'allora. I suoi tempi sono il più sovente di carattere religioso, elaborati con tecniche a pastello. Ma non solo.
- Un suo olio su tela, il Ritratto di Ippolita Bucci, come recita il titolo (l'opera è oggi di proprietà privata), tratteggia una sua consanguinea in abiti tradizionali abruzzesi. Molti i dettagli significativi - dal volto dolcemente abbassato al cestino e allo stesso corsetto - tuttavia memori di una temperie e di un'impostazione classicista, con un chiaroscuro artificialis che mira a identificare la visione con la verità fenomenica. La figura arriva sempre di lontano, dalla profondità dello spazio e del tempo, si ferma alla soglia del presente, senza varcarla: come se gli atomi di luce sospesi nell'aria fosca venissero a posarsi sullo schermo invisibile di una muta presenza umana.
- In ogni caso, altre sue opere, come Una fioraia, oppure Mendicante, rilevata quest'ultima da Ferdinando II per la Pinacoteca del Palazzo di Capodimonte a Napoli, modulano una luce che proviene da una sorgente localizzata ma impalpabile, come una tavolozza la quale stia tra una pittura che è discorso o linguaggio, e per la quale vale il principio classico ut pictura poesis, e una pittura che non avendo riscontro nella poesia, è soltanto praxis pittorica. Queste tele di Bucci lasciano trasparire un'attenzione per la realtà quotidiana che potrebbe anche essere passata a Pagliaccetti. I primi rudimenti e le prime impostazioni non sono sempre unicamente ascrivibili al livello formale e tecnico, questa va da sé.
- A tali maestri si sarebbero ben presto aggiunti quelli dell'Accademia di San Luca, tra i quali Pietro Tenerani che, specie in sculture quali Psiche svenuta e Ritratto di Pellegrino Rossi, entrambe della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, “si mostra abilissimo nel modellare con impercettibili passaggi di piani, a superfici vellutate, senza accidentalità di sorta”. E ancora altri maestri conosciuti e certo anche frequentati nel capoluogo toscano: quegli scultori onorari esercenti nell'Accademia fiorentina che sono anche tra le personalità di maggiore spicco e prestigio nell'ambito dell'arte plastica del tempo. Aristodemo Consoli, Pio Fedi, Emilio Santarelli; più forte, comunque, la presenza di Giovanni Duprè, dolce e mistico, come lo tratteggia il Parroni. Da lui Pagliaccetti dovette derivare un'intensità e quietudine spirituale, nullameno congiunte con un'attenzione al realismo che egli desunse da un suo altro maestro, Vincenzo Vela.
Floriano De Santi |